Gli Andossi sono utilizzati a pascolo (bovino e ovicaprino) probabilmente a partire dall’Età del Bronzo (secondo millennio a.C.), ma i più antichi dati sul carico di bestiame risalgono al XIII secolo. 

Secondo il vigente Piano di pascolamento, l’Alpe Andossi ha una superficie catastale di 368 ha, mentre la SAU è di 361 ha. Invece, secondo l’indagine di inizio secolo scorso (1904), condotta da E. Azimonti, la superficie a pascolo era di 372 ha. La durata dell’alpeggio, una volta indicata in 80 giorni (ma con la precisazione che spesso si riduceva a 70-75 giorni, a causa dell’eccessivo sfruttamento), è ora di circa 90 giorni (10 giugno-10 settembre). 

L’Alpe è di proprietà privata, ed è divisa in 365 erbate (o vaccate), cioè superfici di pascolo necessarie e sufficienti a mantenere una bovina da latte durante la stagione d’alpeggio. E’ gestita dal Consorzio Alpe Andossi, che comprende 386 consorziati ed è molto antico: i primi documenti risalgono al 1723, mentre il primo statuto moderno è stato redatto nel 1948 e successivamente rivisto nel 1984 e 1998. Negli anni la situazione è fortemente mutata: da molti caricatori con poco bestiame a testa si è arrivati ad oggi, con pochi caricatori ai quali è stata ceduta la maggior parte dei diritti di pascolo. A inizio Novecento il godimento del pascolo era diretto, con bestiame del proprietario, oppure da lui noleggiato. Esistevano dunque moltissimi comproprietari (220 nel 1904), che utilizzavano l’alpeggio intensamente, a svantaggio dell’Alpe stessa, in quanto “ognuno pensa a fare il comodo proprio con le proprie bestie, magari a scapito degli altri, e nessuno pensa a migliorare, perché di quel miglioramento non sarebbe il solo ad usufruire” (Azzimonti, 1904). Di conseguenza, il carico di bestiame a inizio Novecento era troppo elevato (anche perché i proprietari di una frazione di vaccata avevano il diritto di completare la frazione, a fronte del versamento di un compenso in danaro); la manutenzione era scarsa; il reintegro di fertilità risultava modesto; per cui “il bestiame finisce col patire la fame!” (Azzimonti, 1904).  

Questa situazione di squilibrio ecologico, legata a carico eccessivo, è ormai superata: il carico medio di bestiame è in diminuzione: mentre in passato (1904) toccava 1,11 UBA/ha, nel 1935 era sceso a 0,85 UBA/ha, ora è di 0,53 UBA/ha. Va in ogni caso tenuta presente la difficoltà di confrontare un capo grosso di un secolo fa con un capo grosso attuale, decisamente più pesante e soprattutto molto più produttivo, dunque esigente in foraggio. L’alpeggio ospita circa 70 vacche da latte e un consistente carico di bestiame giovane (circa 120 UBA). Anche per quanto riguarda la gestione, la situazione negli ultimi tempi è stata ribaltata rispetto al passato: utilizzando i fondi del PSR Lombardia, il Consorzio ha realizzato diversi interventi di grande impegno: ristrutturazione del sistema di acquedotto per il recupero dell’acqua potabile dalla dorsale opposta della valle; costruzione di una tettoia in legno per il ricovero degli animali e la mungitura in quota (al centro dell’alpeggio, con 34 poste); realizzazione di numerosi abbeveratoi in legno di larice; creazione di piste agrosilvopastorali e di un nuovo sistema di viabilità interna. Nell’alpeggio è stato adottato il metodo del pascolo controllato: vengono delimitate con recinti elettrificati le aree nelle quali il bestiame è libero di pascolare, in modo da escludere quelle già sfruttate e consentire la ricrescita delle essenze foraggere. 

Gli Andossi sono studiati da tempo e sono ormai diventato un sito sperimentale riconosciuto a livello nazionale: vi sono state svolte ricerche meteorologiche, pedologiche, vegetazionali, zootecniche e ambientali, che hanno prodotto risultati scientifici significativi; sono stati inoltre l’area di studio di numerose tesi di laurea triennale e magistrale in Scienze ambientali e Scienze agrarie. Nella parte centrale dell’alpeggio, a circa 1900 m di quota, hanno operato per 10 anni tre stazioni di misura in continuo di dati meteo (aria e suolo). Sul lato orientale dell’alpeggio, in corrispondenza della parte alta di una gigantesca nicchia di distacco di frana, è posto il Giardino Botanico Valcava, che si occupa di protezione della flora alpina.